Andrea Lorusso Scritto da  Apr 08, 2016

Randonnèe Palermo: la mia Randonnée

"La mattina prometteva un bel sole e così decido di lasciare la mia mantellina sul tavolo della cucina. Errore madornale!

Al punto di riunione una bella atmosfera. Tanta gente; c’è aria di festa. Foto, saluti, presentazioni. Senza numeri di gara, senza stress, senza orario. Si può partire tra le sette e le otto. Io non conosco i luoghi e mi aggrego ai miei amici palermitani: Aldo e Franco. Ci muoviamo che sono già le 7:30. I ciclisti si avviano a gruppetti. Siamo più di 200… in mezzo ci sono molti imbucati; qualcuno non ha le gambe per farla tutta, altri non hanno il tempo e così fanno un pezzo di strada con noi, ma poi si dileguano; si vede che hanno il passo della domenica; vanno troppo di fretta. Noi no. Noi chiacchieriamo, guardiamo il panorama; di fatto gironzoliamo perché siamo rand-agi.

Non avevo mai visto Palermo dall’alto. E’ uno spettacolo!

La salita per Morreale è pedalabile, la facciamo senza fretta e c’è un bel teporino. Dopo la foto di rito dinanzi alla Cattedrale, continuiamo a salire. Il Pioppo ci attende coperto di un cielo plumbeo, comincia a fare freddo. Entro al supermercato e mi faccio regalare un sacchetto di nylon (che si rivelerà provvidenziale) Dopo il Pioppo una discesa lunghissima e velocissima verso Partinico. Arrivo giù che non sento più né mani, né faccia. Il sacchetto sul petto fa quello che può, ma sono letteralmente rincretinito dal freddo. Maledico la scelta di lasciare la mantellina a casa. Pedalo intontito per altri 10 km; quindi arriviamo al primo controllo.

Siamo ad Alcamo. Prendiamo un caffè. Il sangue riprende a circolare. Anche il cervello si spanna. Dopo 10 minuti ci rimettiamo in marcia. Sono con Aldo, Franco, Raimondo e i ragazzi del gruppo di Massimo Cannatella. Ci addentriamo nella Valle del Belìce (a proposito, Raimondo conferma che si dice si dice Belìce, non Bélice); siamo almeno 40, la strada è bellissima, un susseguirsi di colline morbide; è tutto verde e non si incontra una macchina.

Dopo poco la giornata prende una brutta piega: comincia a piovere … e siamo solo al 60° A questo punto saltano tutti gli schemi: ognuno va del suo passo. Non è clima per attendere qualcuno e nessuno vuol essere di peso. Franco ci inviata ad andare. Aldo è titubante. Io non sono in condizione di ragionare. Ho freddo e ho solo fretta di raggiungere il prossimo ristoro; accetto l’invito e vado avanti. Aldo viene con me. Un paio di cambi regolari e siamo alla salita di Poggioreale. La pioggia cade vaporizzata; non è fastidiosa, ma è incessante, ti entra dentro; soprattutto se non hai la cerata; il cielo è grigio; di un grigio triste che non lascia spazio neppure alla speranza di un raggio di sole. Decido di utilizzare i calzari da sala operatoria che mi ha dato Pietro Bica. Ho i piedi completamente bagnati, ma mi convinco che se li copro, non mi entra più acqua e quella che c’è dentro si dovrebbe riscaldare. Lo so, è una cazzata. Ma mi convinco che è meglio di niente, e lo faccio. Il sacchetto del supermercato me lo metto sotto il casco, per interrompere le infiltrazioni d’acqua al cervello… che è già bello che annacquato.

L’avventura prende la piega dell’impresa epica. Attraversiamo una vecchia strada dimenticata da Dio e dagli uomini; nessuna traccia umana, solo i resti del passaggio di qualche gregge. Il silenzio la fa da padrone.

Poi la strada s’interrompe: c’è stata una frana. Nessun problema. Siamo randonneurs: bici in spalla e piedi infangati. I calzari del Bica mi salvano le tacchette. Lo sapevo che sarebbero serviti. Siamo davanti ai ruderi di Poggioreale. Lo spettacolo è surreale. Non avevo mai visto una cosa simile. Si, ne avevo sentito parlare, ma una cosa è sentirne parlare e un’altra è vedere un paese fantasma. Le case sventrate, i tetti caduti e quel cancello davanti alla porta del paese che ricorda l’ingresso di un girone dantesco. Mi rimetto in sella, frastornato, e immagino cosa dev’essere accaduto in quelle ore tremende; urla di terrore, mani nel fango a scavare tra le macerie, occhi increduli di chi ha perso tutto. Aldo mi racconta che il terremoto si sentì fortissimo anche a Palermo… lui era ragazzino; mi dice che quasi tutti passarono la notte per strada. Questa è la randonnée. Si scoprono posti nuovi, si apprendono storie di vita vissuta, si parla e si fa amicizia. Frattanto Franco ci raggiunge.

Siamo al “Grande Cretto di Burri”, omaggio straordinario dell’Artista a questa terra sventrata dal terremoto. Tornato a casa avrò modo di leggere le parole di Bruno Corà: Davanti al Grande Cretto si comprende che la forma è una cosa vera, che lo spazio è un pensiero diversamente replicabile e che l'arte ha il potere di dare senso alle cose, con il più eloquente dei silenzi. Belle, vero? Chi le avrebbe mai lette, se non grazie a questa esperienza. Torniamo sui pedali. Siamo quasi al 100° si scende verso Gibellina Nuova. Un freddo bestia! Si prosegue per Salemi… e dentro al paese, una salita che è una cattiveria.

Siamo al secondo ristoro. Non piove più, ma sono congelato. Prendo un the caldo e un’arancina fredda (mannaggia al barista impreparato) aspetto Aldo due minuti fuori e rischio l’ipotermia. Rientro al bar e trovo Massimiliano Di Marco intento a scomporre un “di sicilia”; anche lui ha scordato la mantellina; mi prendo una pagina per proteggermi il petto; controllo che non ci siano i necrologi (non si sa mai) e riparto con Aldo alla volta di Vita. Ironia della sorte, non c’è anima viva … e non è un paese fantasma … è proprio che sembra morto. L’arancina fredda mi punge il fianco. Ho paura che possa essermi fatale. Avrei temuto un crampo o un cedimento mentale, ma l’arancina no. Non lo posso accettare. Aldo è taciturno; non so se sia stanchezza o carattere… o tutt’e due.

Proseguiamo. Per strada non c’è più nessuno; sembra uno scherzo. Possibile che si siano ritirati tutti? … o forse chi è partito prima va più forte. Non sappiamo, ma continuiamo ad andare. Poi una voce: “Ehiiii…. Aspettatemi”. È un altro randagio… un ragazzo di Vita (non nel senso pasoliniano… lui è proprio di Vita -il paese addormentato-). “Ho fatto 25 km. da solo” ci dice. Lo portiamo con noi. Non piove più da un paio d’ore. Sono quasi asciutto. Del sole, però, non ne dobbiamo parlare. Km. 141: Castellammare del Golfo, Coraggio, ne mancano solo 70. Km.157: Balestrate, terzo punto di controllo. Troviamo un sacco di gente, sono tutti di buon umore.

Ormai si sente aria di casa. Salita non ce n’è più e dobbiamo arrivare. Provo a comprare una banana, ma il fruttarolo me la regala. Ne mangio metà; l’altra la mangerà Massimiliano 30 km. più avanti. La compagnia si allarga; c’è anche Enzo Ricci Facciamo strada: io sto bene, Enzo meglio; Aldo comincia ad accusare la stanchezza, ma ancora va; Km.191 Capaci, Aldo si ferma a riempire la borraccia: ci mette 6 minuti buoni; non aveva sete… doveva solo rifiatare. Occhio al traffico! Ormai ci siamo. Km. 200: Mondello Aldo cede di schianto. Io ed Enzo ci guardiamo… non lo molliamo. Gli passo un fruttino e Aldo si riprende. Ormai è fatta. Su via libertà evitiamo le auto e arriviamo a braccetto.

Ce l’abbiamo fatta! … Mi porto a casa un record di percorrenza, tanti nuovi amici e una giornata indimenticabile. Grazie ad Alessandro Caldarella per avermi regalato tutto questo."

Grazie a Daniele Cutaia per il suo "epico" racconto e grazie soprattutto al GS Mediterraneo per aver organizzato al meglio l'evento.

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Andrea Lorusso

Praticare la cyclette, è come fare surf in una Jacuzzi. Questo il suo motto preferito. Appassionato di Granfondo e Randonné

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